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  -  Spunti maestri   -  Design   -  Alessandro Mendini: il designer del made in Italy e degli oggetti con l’anima

Alessandro Mendini è il designer che ha realizzato oggetti con l’anima: prendono vita dalle parole e sopravvivono con i sentimenti.

Famosissime sono la sua Poltrona Proust del 1978, ma anche la Magis del 2011, il cavatappi Anna G disegnato per Alessi nel 1994 e la Lampada Amuleto per Ramun del 2013.

In questo articolo vogliamo parlare di Made in Italy, attraverso le produzioni e ripercorrendo le tappe della carriera di Alessandro Mendini, uno tra i più noti e apprezzati designer contemporanei. Scomparso recentemente all’età di 87 anni, tutto lo staff di Migliorino Design ha sempre ammirato il designer dalla irrequietezza intellettuale: artista eclettico, dai mille volti artistici, innovatore, sperimentatore ironico e ricercatore raffinato. Sfumature rappresentative della sua policromia artistica, nella quale si colloca una tematica ancora oggi discussa, il redesign, del quale parleremo più avanti.

Alessandro Mendini, cavatappi Anna G.

Alessandro Mendini nasce a Milano nel 1931 e qui si laurea in architettura al Politecnico. Sin dagli anni Settanta, è stato uno dei protagonisti del rinnovo e della valorizzazione della produzione del design made in Italy, aderendo a numerose avanguardie del Radical Design e a dibattiti teorici. Ha diretto numerose riviste, come “Casabella”, “Modo” (dal lui fondata nel 1977 e guidata fino al 1981) e “Domus”. Fra i suoi scritti più celebri, si ricordano “Paesaggio casalingo” (1979), “Architettura addio” (1981), “Progetto infelice” (1983), “Existenz maximum” (1990). Occasioni in cui ha messo a punto concetti come design neo-moderno, casa banale (che riconosce il valore del brutto e del kitsch nel quotidiano) e redesign.

Parallelamente, ha condotto la carriera progettuale che lo ha visto collaborare con aziende come Zanotta, Alessi, Swatch, Philips, Venni, Bisazza e Cartier. In campo architettonico, ha firmato il Museo Groninger (1988-1994, 2010), le fabbriche Alessi e il Forum-Museum di Omegna (1996), il Teatrino della Bicchieraia ad Arezzo (1998), la ristrutturazione urbanistica del quartiere Maghetti a Lugano (1998), il rinnovo della Stazione Termini a Roma (1999), il restauro della Villa Comunale (1999) e di tre stazioni della Metropolitana a Napoli (2000), la nuova Fiera e la nuova sede della Triennale di Milano a Incheon, in Corea del Sud (2008-2009).

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Le opere di Alessandro Mendini rappresentano una commistione di elementi che provengono sia dal mondo immaginario della letteratura sia dalle figure di pitture che lo accompagnano sin da quando era bambino. Fantasie che nelle sue opere che prendono vita attraverso la costruzione di grafiche che sono, spesso, una critica alla società dei consumi e al mero ruolo tecnico dato ad architetti e designer.

Ai primi anni della carriera di Mendini risalgono le opere poi categorizzate come “oggetti ad uso spirituale” (la sedia “Lassù”, la seduta “Scivolavo”, la “Valigia per l’ultimo viaggio”, tutti realizzati tra il 1974 e il 1975) che declassano l’uso razionale e convenzionale  degli oggetti: un bagaglio in pietra, una sedia tanto alta da doversi arrampicare, nascono con l’obiettivo di far riflettere sulla natura transitoria non solo degli oggetti ma anche dell’esistenza dell’uomo. Visione che mette in discussione il ruolo stesso dell’architetto e del designer, che non sono più soltanto  “tecnici” al servizio dell’economia di massa, bensì recuperano la dimensione artigianale e manuale, caratteristica propria del Made in Italy.

Alessandro Mendini, la poltrona di Proust

Sono, questi, gli anni dell’adesione al cosiddetto contro-design, in cui Alessandro Mendini avvia anche la riflessione sul tema del redesign: inteso come nuovo linguaggio visivo che dà un nuovo significato, forse più vero, agli oggetti di uso quotidiano. Mendini interviene su pezzi già esistenti, anonimi o d’autore, attraverso l’uso di colori o stili estranei che non appartengono al progetto originario. Gli oggetti iniziano ad avere anima, sono fruibili e allo stesso tempo si caricano di eternità. Apice di questo processo è la poltrona Proust: una banalissima seduta finto-barocca, trasformata in un omaggio al celebre scrittore francese ricoprendola di un pattern – dipinto direttamente sul tessuto e sulla struttura in legno, attraverso un piccolo pennello e senza uno schema disegnato a priori – che richiama la tecnica del puntinismo di Paul Signac.

Io invento e assieme copio, perché nel panteismo dell’enorme via Lattea delle merci, tutto quello che posso pensare già esiste: l’importante è che sia originale il mio modo di falsificare.

Negli anni Settanta, Mendini supera l’originario conflitto con con il tema del pezzo unico e nasce, con Alessi, la serie di multipli artistici intitolata “Tea and coffee piazza” (1983), composta da micro-architetture per la tavola, e la serie diversificata “100% Make up”. In quest’ultimo caso, un unico vaso prodotto in soli cento esemplari per tipo. O, ancora, i ben noti cavatappi “Anna G.” e “Alessandro M.”, che si trasformano in personaggi quasi tetrali, con una specifica indole e un guardaroba personale.

Ad anni più recenti risalgono opere come “Visage Arcaïque” e “Tête Géante” (2001-2009), che introducono il tema dell’antropomorfismo: forme geometriche primitive (cubi, piramidi, ecc.) realizzate con i più disparati materiali e per diverse aziende (Venini, Cartier, ancora Bisazza), vengono assemblate a disegnare teste giganti, che ricordano volti umani e al contempo si rifanno agli stilemi del Costruttivismo russo.

Grazie all’indiscusso valore della sua opera, Alessandro Mendini è stato insignito di numerosi premi: è Chevalier des Arts et des Lettres (titolo conferitogli in Francia) e ha ricevuto le onorificenze dell’Architectural League di New York, la laurea honoris causa in design al Politecnico di Milano e all’Ecole Normale Supérieure de Cachan, l’European Prize for Architecture Awards nel 2014.

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